NEW YORK

QUANDO gli americani, inguaribili ottimisti, vogliono dire che le possibilità di realizzare qualcosa sono infinite, usano l'espressione «the sky is the limit», il limite è il cielo. Ma per Riccardo Giacconi, a 71 anni compiuti, la volta celeste ancora non basta a fermarlo. Lui è venuto da Genova a Washington proprio per dimostrare che si può andare oltre il cielo, e adesso coltiva un grande sogno: «Contribuire a spiegare le origini della vita, e vedere se può esistere in altri punti dell'universo». Ieri mattina il telefono è squillato alle cinque e mezza, nella sua casa del Maryland, portando la notizia del premio Nobel: «Era il presidente dell'Accademia reale svedese delle scienze, e da allora in poi l'apparecchio non ha più smesso di suonare». Giacconi è felice ma ancora sorpreso, quando lo raggiungiamo nel suo ufficio all'Associated Universities Inc. di Washington: «Sono molto contento per mia moglie, per i figli, e per il campo dell'astrofisica a cui ho dedicato la vita, perché in 40 anni è diventata una scienza molto importante. È un successo anche per la Nasa, che ha sostenuto tanto il satellite Uhuru, lanciato dalla piattaforma italiana San Marco in Kenya, quanto il telescopio Einstein, utilizzati per intercettare i raggi all'origine del premio. Sono felice anche per me stesso, ma devo ancora riflettere bene sul perché».


Lei è nato a Genova, si è laureato a Milano, ma è dovuto venire negli Stati Uniti per realizzare le sue potenzialità. Cosa significa questo per la ricerca in Italia?

«Se è vero che la fase più creativa di uno scienziato è quella della gioventù, bisognerebbe cercare di offrire il massimo delle opportunità ai giovani. Ai miei tempi, negli Stati Uniti era più facile raggiungere i propri obiettivi che non in Italia. Se un sistema è troppo chiuso, i nuovi talenti faticano ad emergere. Non è tanto una questione del numero degli scienziati, quanto piuttosto delle possibilità di lavoro».

Lei oggi tornerebbe in Italia a fare ricerca, oppure i suoi studi ormai sono ad un livello troppo alto per condurli nel nostro paese?

«Non siamo poi così stranieri! Io sono sempre rimasto in contatto con i colleghi italiani ed europei, e per un periodo sono tornato a lavorare a Milano. Dal punto di vista scientifico il gap non è enorme, e le persone intelligenti si trovano dappertutto. Il problemaè avere la possibilità pratica di realizzare i propri progetti».

In Italia, in sostanza, non si investono abbastanza soldi nella ricerca?

«È certamente un problema di risorse, ma anche di priorità. Cioè di scelte su dove indirizzare le risorse».

La citazione del premio Nobel dice che «Riccardo Giacconi ha individuato per la prima volta la fonte dei raggi X fuori dal nostro sistema solare, ed è stato il primo a provare che l'universo contiene un background di radiazioni di raggi X. Ha scoperto le fonti dei raggi X che secondo la maggior parte degli astronomi contengono i buchi neri. Ha costruito il primo telescopio a raggi X, che ci ha dato un'immagine completamente nuova e precisa dell'universo. I suoi contributi hanno costruito le fondamenta dell'astronomia dei raggi X. Grazie a questa scienza e ai suoi pionieri, in particolare Giacconi, la nostra immagine dell'universo è cambiata in modo decisivo». Può spiegare cosa significa, ai non addetti ai lavori?

«Ci provo. Quando uno va dal medico gli fanni i raggi X, che sono una luce più penetrante ed energetica di quella normalmente visibile. Dal nostro sole ne riceviamo pochi, ma ci sono altre stelle nell'universo in cui la loro emissione è il fattore predominante. La cosa più interessante è che i raggi X vengono emessi quando ci sono delle esplosioni o dei fenomini molto energetici, e si tratta di uno sviluppo tipico dell'universo. Ad esempio le stelle, quando muoiono, vanno in un'esplosione di supernove, che producono raggi X. Individuarli ci consente di studiare l'universo con una tecnica nuova, differente rispetto a quella che si usa con le altre radiazioni. È molto utile per la ricerca su fenomeni come le supernove, i campi magnetici, i buchi neri, e questo punto di vista diverso, sommato agli altri, ci consente di avere un'immagine piu' accurata dell'universo».

A cosa sta lavorando ora?

«Ad un progetto chiamato Alma, che stiamo realizzando in collaborazione tra gli Stati Uniti e l'Europa nel deserto Atacama del Cile, per sviluppare l'astronomia millimetrica».

Quali sono gli obiettivi del progetto?

«Sono principalmente due: lo studio della cosmologia a distanze molto grandi, sempre attraverso il passaggio delle radiazioni, e l'analisi di come funzionano certe molecole nello spazio, come si formano alcune particelle, e quindi anche come si sviluppa la vita».

Vuol dire che tramite i suoi prossimi studi potreste fare nuova luce sulle origini della vita, e magari sulla sua esistenza in altri punti dell'universo?

«Ci sono molte cose interessanti che stanno succedendo, e stiamo chiarendo punti importanti riguardo le altre stelle. Abbiamo scoperto la presenza di materiali organici fuori dal sistema solare, ad esempio nella forma aldeide. Come poi questi materiali passino nel nostro sistema e diano origine alla vita è ancora poco chiaro, ma la scoperta in se' apre enormi possibilita' di ricerca, che per ora non escludono alcuno sviluppo».

Davanti a progetti tanto interessanti ed ambiziosi, viene la curiosità di chiederle se lei crede in Dio.

«È un argomento complicato, a cui preferirei non rispondere. Diciamo che non sono convinto della sua presenza in un luogo determinato. Ma se mi chiedete se penso che ci sia qualcosa di superiore nell'universo, sotto qualche forma, la risposta è sì».

Cosa farà con i soldi del premio?

«Ci pagherò l'istruzione dei miei nipoti: visti i costi di oggi, basteranno giusto a questo».